Salve amici. Come ho sottolineato nel corso della mia presentazione, questo vuole essere uno spazio di approfondimento e discussione sulla cultura scientifica. Non può dunque mancare un angolo dedicato alla scuola: primo ente culturale del paese, ancora orgogliosamente pubblico. Da insegnante ho ben presente la nostra importante funzione sociale, soprattutto oggi dove i canali di cultura sono spesso inquinati: o dalla scarsa onestà intellettuale o peggio dagli strafalcioni che si leggono diffusamente in rete. C’è insomma ancora bisogno di noi: della classe insegnante. ma come possiamo incidere in un mondo che perde sempre maggiormente la fiducia in tutte le figure di autorità? Come si può uscire da quel circolo vizioso di delegittimazione sociale ed economica in cui la nostra categoria è suo malgrado entrata nel corso degli ultimi trent’anni? A questa domanda, come a tutte le domande complesse non sarà sufficiente dare una risposta semplice, perché di soluzioni semplici a problemi complessi non ce ne sono. Possiamo però dare qualche consiglio, figlio della nostra esperienza di docenti e di lavoratori in un mondo in continua evoluzione. Oggi la società vive un momento di grande trasformazione, la crisi economica ha portato ad un impoverimento diffuso che: da un lato ha determinato una diffidenza negli stati nazionali in tutte le proprie emanazioni pubbliche, scuola compresa, e dall’altra parte, paradossalmente, ha precluso ai più la possibilità di rifugiarsi nel privato, perché costoso. Dunque, se da un lato, più di prima si sente la necessità di interventi pubblici, dall’altro il pubblico viene percepito come scadente, corrotto, incompetente, in ultima analisi inutile. In questo contesto di degrado culturale e sociale l’uomo comune non individua più nei corpi intermedi il mezzo per risollevare le proprie sorti e si trova a navigare da solo nell’oceano in tempesta. In questo complesso contesto sociale, scarso di guide, ognuno riscopre un certo protagonismo nella vita sociale un protagonismo però fine a sé stesso perché privo appunto di mezzi per emergere e farsi sentire. Gli studenti non fanno eccezione a questa regola. Vogliono essere protagonisti, ma spesso non riconoscono all’insegnante, prodotto di quel tanto vituperato settore pubblico, il ruolo di guida necessario per creare il dualismo docente/discente che le nostre scuole gentiliane esprimono plasticamente in ogni classe: con una cattedra di tre metri, posta al centro del palcoscenico ed un pubblico su banchi da un metro ad assistere ad uno spettacolo coatto. Fin qui lo status quo: come possiamo capovolgere le cose? Tramite una rivoluzione che metta al centro del processo didattico lo studente. Lo schema è piuttosto semplice e ricalca abbastanza fedelmente un contesto a me molto familiare perché ha contraddistinto una parte breve ma fondamentale della mia vita da studente: il Gruppo di Ricerca. Faccio qui una digressione personale: al termine della mia esperienza universitaria era necessario fare un periodo di internato di diciotto mesi presso un laboratorio di ricerca per scrivere una tesi sperimentale. Io scelsi di fare una tesi di argomento chimico e fui affidato ad un gruppo di ricerca molto importante all’interno dell’università di Bari. Quando entrai in questo gruppo mi fu affidato un compito e mi si chiese di svolgerlo nel tempo prefissato. Nello specifico dovevo, attraverso l’utilizzo di solventi e di un macchinario distillatore,  estrarre composti utili da alghe. Io, che avevo studiato sui libri per sei anni, non avevo praticamente mai visto nulla di ciò che caratterizzava un laboratorio. Eppure mi si chiedeva di utilizzare strumenti, anche costosi, e materiali non certo tra i più banali, per raggiungere un risultato che, francamente, non sapevo come avrei raggiunto. Inizialmente pensavo che il mio insegnante di tesi mi avrebbe spiegato come fare, invece mi disse: lavora, e se hai qualche domanda chiedi al gruppo di ricerca. Questo gruppo era formato da studenti della mia età o leggermente più grandi che mi fecero in quei duri diciotto mesi da chioccia collaborando con me nella “costruzione” di quel percorso che mi avrebbe portato a raggiungere il nostro obiettivo, quando, nel corso dei mesi vennero altri “novizi” ed io feci con loro quello che gli altri avevano fatto con me. Avevo in quel tempo capito cosa significasse lavorare in gruppo e cavarmela da solo per il raggiungimento di un obiettivo: ero cresciuto. Questa digressione mi è servita per introdurre il consiglio che oggi vi do da insegnante: capovolgete la vostra classe! Lasciate il vostro ruolo da protagonista e diventate arbitri del processo didattico. Lasciate che siano gli studenti a risolvere i loro problemi. Non risolveteli voi. Fate della vostra classe un gruppo di ricerca: usate la flipped classroom. Io ci ho provato, lo scorso anno, e alla fine di questo articolo vi mostrerò il risultato del nostro lavoro. Ho provato a dare un obiettivo ai miei ragazzi divisi in gruppi: nello specifico una relazione su tre capitoli del libro “L’origine delle specie” di Charles Darwin, ed ho condotto dall’esterno il processo di ricerca e produzione del materiale con tempi certi e obiettivi misurabili. Il risultato è stato quello di: riposare le mie corde vocali, permettere ai miei alunni di acquisire capacità che sui libri non trovano come: l’organizzazione del lavoro, la capacità di lavorare in gruppo, la divisione dei compiti e così via, con dei risultati al di sopra delle mie aspettative. Dunque che dire: buona classe capovolta a tutti…ah dimenticavo: questo è stato il risultato del nostro lavoro.

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